Relazione di bilancio 2018-19 della presidente Serena Bersani

Care colleghe e cari colleghi,

grazie per essere qui in occasione di questa assemblea annuale di bilancio che è anche l’ultima del mio duplice mandato. Negli otto anni della mia presidenza il mondo del lavoro giornalistico è mutato radicalmente. Anche in Emilia-Romagna abbiamo perso centinaia di posti di lavoro che, temo, non riconquisteremo più. Le ripercussioni sulle vite dei giornalisti e delle loro famiglie sono quelle che almeno la metà di noi ha toccato con mano, e che l’altra metà ha quotidianamente sotto gli occhi. Per non parlare del costo altissimo di questa crisi sui nostri istituti di previdenza, come ci riferiranno i fiduciari regionali.

C’è dunque, più che mai ora, la necessità di mettere in comune tutte le risorse disponibili, di fare squadra, di non dividerci, di puntare alla salvezza della categoria senza perderci in piccoli giochi di potere e inutili contrapposizioni. Se osserviamo la tenuta della nostra associazione, i numeri ci confortano: gli iscritti al 31 dicembre 2018 erano 969, otto in più dell’anno precedente. Avere arrestato l’emorragia di iscritti è motivo di speranza in un’inversione di quella tendenza negli ultimi anni particolarmente negativa. Si consideri, infatti, che nel 2013 gli iscritti all’Aser erano 2.108 e che quindi negli ultimi cinque anni abbiamo perduto circa 130 soci. Lo scarto più significativo è tra i collaboratori, passati da 264 a 170, ma la spiegazione è nel mercato del lavoro che tutti bene conosciamo: molti di loro vivono al di sotto della soglia di povertà, moltissimi guadagnano meno della cifra prevista per il reddito di cittadinanza, tanti hanno proprio dovuto cambiare lavoro.

Il bilancio dell’Aser, come vi illustrerà il tesoriere Paolo Maria Amadasi – che ringrazio per il lavoro di grande precisione, così come ringrazio i revisori dei conti che l’hanno supportato – è in attivo e non desta preoccupazioni, anche se le prospettive future non sono delle migliori. Ci siamo trovati all’interno di un tunnel di cui non si intravvede l’uscita, ma non siamo rimasti inerti, al contrario abbiamo cominciato ad arredare il tunnel. Alla fine di questa consigliatura, per molti versi difficile e a tratti osteggiata, consegniamo a chi verrà dopo di noi un bilancio pressoché perfetto, frutto di un lavoro certosino di taglio dei costi, che non ha tolto nulla all’attività sindacale e di assistenza legale ma ha eliminato anche le più piccole spese che non fossero essenziali. Del buon risultato di questo bilancio credo vada dato merito a tutti i componenti del direttivo che, anche attraverso critiche e proposte di modifica, hanno contribuito, ciascuno con le proprie competenze ed esperienze, alla rappresentazione il più puntuale e trasparente possibile dei movimenti finanziari dell’Associazione.

Meno tranquillizzante è la situazione editoriale che dovrà affrontare il prossimo direttivo. Credo che la vicenda più drammatica in questo momento sia quella che vivono i colleghi di Telesanterno, televisione bolognese che fa parte del gruppo dell’imprenditore Bighinati e che pare essere stata destinata a divenire una “bad company” da rottamare insieme a tutto il personale giornalistico e tecnico. La crisi del gruppo Telesanterno si trascina ormai da quattro anni, con gravi ritardi nel pagamento degli stipendi ai dipendenti, molti dei quali hanno presentato le dimissioni per giusta causa per accedere almeno all’indennità di disoccupazione. È stato aperto un tavolo di salvaguardia presso la Regione Emilia-Romagna. I pochi colleghi rimasti sono al 65esimo giorno di sciopero a oltranza, con un arretrato che va dalle cinque alle nove mensilità. Sono stati fatti i decreti ingiuntivi ed è stata presentata un’istanza di fallimento. La scorsa settimana, per la terza volta, è stata interrotta la fornitura di energia alla sede centrale per il mancato pagamento della bolletta elettrica. I telegiornali sono sospesi. Abbiamo coinvolto, oltre alla Regione, anche la Fnsi, lo stesso presidente Giulietti è venuto a manifestare con i lavoratori davanti alla sede, ma non c’è stata disponibilità da parte dell’azienda. Resta l’amarezza di vedere la fine così ingloriosa di quella che è stata la prima televisione privata a entrare nelle case dei bolognesi.

A Rete 7, dopo che l’editore Simone Baronio ha dato disdetta del contratto integrativo, disapplicato dall’ottobre 2017, la trattativa stenta a partire per i continui rinvii, la presenza al tavolo negoziale di rappresentanti aziendali senza pieni poteri e le pregiudiziali poste dalla società. L’editore-direttore ha anche tentato di intervenire sugli spazi giornalistici senza rispettare le previsioni dell’articolo 29 del contratto Fnsi-Aeranti-Corallo.

Tra i quotidiani, Corriere di Bologna ha subìto quest’anno un’importante ristrutturazione, che ha coinvolto tutti i dorsi del Corriere del nord-est. E’ stato creato un desk centrale a Padova, che realizza tutte le pagine non strettamente di cronaca, comprese quelle culturali. Ciò ha comportato lo spostamento di alcuni colleghi, che alla fine è stato fatto su base volontaria o incentivata e non ha comportato distacchi traumatici. La trattativa non è stata comunque indolore e ha comportato anche alcuni giorni di sciopero.

Al Resto del Carlino abbiamo assistito al licenziamento per giusta causa di una lavoratrice che, proprio a ridosso della nomina dell’editore Andrea Riffeser a presidente della Fieg, aveva intentato un’azione per mobbing nei confronti di un collega di grado superiore. La vicenda si è conclusa con il ritiro del licenziamento e il consenso alle richieste della lavoratrice, in cambio del ritiro dell’azione legale per mobbing intrapresa dalla collega. Un caso, questo, giunto tardivamente alle orecchie dell’Aser, così come altri casi di mobbing per i quali – ho la percezione – si preferisca trovare azioni interne e darne poca pubblicità.  Questa può essere spesso la soluzione più opportuna per i colleghi coinvolti, ma temo non dia alla categoria la percezione di quanto sia diffuso il fenomeno.

Mi preme portare alla vostra attenzione la situazione del Corriere di Romagna, perché è una di quelle testate cooperative – la realtà più significativa nella nostra regione, ma non la sola – che senza il Fondo per il pluralismo che finanzia i giornali rischia di scomparire, con le immaginabili conseguenze: decine di lavoratori a spasso, tra giornalisti e poligrafici. Ho ammirato in questi mesi difficili, la dignità con cui i colleghi di quel giornale portano avanti la loro battaglia, con frequenti e sempre opportuni interventi sul giornale per sensibilizzare i lettori e spazzare via la fake news del parassitismo editoriale. Colleghi che, da tempo, si sono decurtati lo stipendio per tenere insieme la squadra e continuare a fornire un buon prodotto. Credo che solo chi ha vissuto sull’orlo del baratro della perdita del lavoro e della chiusura del “proprio” giornale possa immedesimarsi in questi colleghi e comprendere il loro stato d’animo. Ma l’empatia non basta, qui ci vuole una battaglia seria e che coinvolga tutti gli iscritti al sindacato. Togliere la possibilità di sopravvivenza al Corriere di Romagna, come a Sabato Sera, al Manifesto, a Radio Radicale, alle testate religiose, a quelle rappresentative delle minoranze linguistiche è un attacco alla democrazia, e non c’è bisogno che lo spieghi.

Veniamo al lavoro autonomo. Per la prima volta, credo a livello nazionale, abbiamo portato i colleghi collaboratori nelle piazze, a far sentire la loro voce, a spiegare ai cittadini e alle istituzioni le loro condizioni di lavoro, le loro retribuzioni, le loro giuste richieste. Lo abbiamo fatto a Parma e a Piacenza, dove ci sono due grosse realtà editoriali che si reggono anche, e talvolta soprattutto, sul lavoro dei collaboratori. Siamo partiti – e l’impegno maggiore è gravato sulle spalle di Mattia Motta – dall’accordo sul lavoro autonomo che è contenuto nel nostro contratto. Purtroppo la formulazione ha dato adito a interpretazioni diverse e anche gli incontri fatti in sede Fieg non ci hanno permesso di avere un parere pro veritate univoco. Tuttavia, il solo fatto di avere aperto una contrattazione con il coinvolgimento dei Cdr – cosa mai fatta in precedenza – è da considerare un fattore positivo perché segna un punto di non ritorno: la contrattazione, anche dei collaboratori, deve essere fatta a livello collettivo e non si possono lasciare i singoli colleghi in balìa delle aziende e soli di fronte alle loro proposte. Certo, siamo solo alle fondamenta e la costruzione ancora non si vede. Alla Gazzetta di Parma però il Cdr ha firmato un accordo migliorativo della condizione dei collaboratori, che prevede contratti scritti, rimborsi per le trasferte fuori dal proprio Comune e un aumento delle tariffe, che però ancora non raggiungono quel valore – per noi di base – di 20,83 euro lordi per un pezzo da 1.600 battute. Prima dell’estate alla Gazzetta Cdr e azienda si risiederanno al tavolo per fare il punto della situazione. Sembra però evidente che, senza l’intervento della magistratura, difficilmente si riuscirà  ottenere l’applicazione di quell’accordo.

A Libertà di Piacenza, per esempio, la contrattazione si è arenata per un atteggiamento da parte dell’azienda a mio parere ingiustificato. La trattativa era partita, la stragrande maggioranza dei collaboratori aveva aderito a uno sciopero delle firme che ha messo in luce quanto del prodotto quotidiano sia opera di giornalisti esterni all’azienda, si era esposto anche il Prefetto per un tentativo di mediazione, lo stesso Prefetto che è riuscito a portare a casa l’accordo Amazon. Si vede che ci sono aziende editoriali più coriacee dei colossi dell’e-commerce e della logistica perché a un certo punto a Libertà ci hanno chiuso le porte, tra l’altro personalizzando la vicenda sul collega Motta, che era tra i collaboratori di quel giornale e che da quando si è messo a disposizione della collettività per portare avanti la trattativa è stato estromesso fino al punto di non farlo più lavorare. Oltre al comportamento ritorsivo nei confronti del vice segretario, accusato di essere l’istigatore della protesta dei collaboratori per propri fini, c’è stata un’ulteriore chiusura nei confronti del sindacato con una campagna denigratoria sull’unico collaboratore che ha fatto causa al giornale.

Il prossimo direttivo, così come la nuova giunta Fnsi e la nuova commissione Lavoro autonomo avranno molto da lavorare sul fronte dei collaboratori e auspico che il prossimo rinnovo contrattuale sia su questo punto non solo inclusivo, ma anche inequivocabile.

A proposito di contratti, quest’anno c’è stata la firma del nuovo contratto Fnsi-Uspi, che nella parte normativa si allinea sostanzialmente all’Aeranti Corallo e che allarga il proprio campo di applicazione alle testate online, oltre che ai periodici locali. Potrebbe essere una soluzione per chi lavora nei siti. Stiamo programmando un corso con i rappresentanti Uspi e la Fnsi per spiegare ai colleghi questa opportunità.

Tra non poche difficoltà, la Regione ha approvato una legge per il contributo all’editoria che però non è riuscita del tutto a rispondere alle esigenze dei piccoli e piccolissimi editori.

Quest’anno abbiamo fatto tre ricorsi ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori per comportamento antisindacale. Uno al gruppo Riffeser per una mancata comunicazione sull’accorpamento di alcune redazioni, che poi si è chiuso con un accordo in sede stragiudiziale.

Lo stesso esito ha avuto l’azione per comportamento antisindacale nei confronti della Diocesi di Parma che, a seguito dell’accorpamento del settimanale diocesano “Vita Nuova” (edito dall’Opera San Bernardo degli Uberti) con il quotidiano Avvenire, aveva licenziato per giustificato motivo oggettivo una giornalista senza fare alcuna comunicazione preventiva al Sindacato, come prevede il CNLG. Il licenziamento è stato impugnato e, dopo una trattativa anche piuttosto aspra, si è raggiunto un accordo risarcitorio tra la collega e l’Opera.

L’ultimo ricorso ex art. 28 l’abbiamo depositato pochi giorni fa contro Telesanterno per la ripetuta sostituzione di una giornalista in sciopero. Lunedì 9 aprile alle ore 16 saremo in Tribunale per la prima udienza.

Uffici stampa. Le note dolenti riguardano soprattutto i colleghi che lavorano all’Agenzia della giunta regionale e all’ufficio stampa del Consiglio. I giornalisti della pubblica amministrazione rischiano seriamente di perdere il contratto e per qualcuno, vedi la Lombardia, è già successo. Non sono molti, 139 in tutta Italia, ma è fondamentale mantenere il punto. Purtroppo il governo non aiuta e la trattativa con Aran procede a singhiozzo. Resta un confronto molto difficile.

Per quanto riguarda gli uffici stampa dei Comuni, abbiamo firmato un protocollo con l’Anci regionale, che ha recepito le nostre proposte in tema di procedure uniformi di reclutamento, contributi previdenziali, commissioni esaminatrici integrate da un giornalista, formazione professionale, e si è impegnato a trasmetterle ai propri 310 Comuni associati. Si è trattato di un passo importante perché sancisce l’impegno condiviso di suggerire qualche buona pratica in un settore cruciale della comunicazione giornalistica finora lasciato all’arbitrio delle singole amministrazioni e ancora poco attento alle professionalità necessarie.

Lo scorso febbraio abbiamo partecipato al Congresso della Fnsi a Levico Terme con una lista unitaria chiamata “Controcorrente – Fare sindacato”, che univa il nuovo e il vecchio, l’adesione alla nuova corrente di maggioranza nel sindacato nazionale – uscita vincente dal Congresso – e le nostre radici, le idee intorno a cui ci siamo riconosciuti a partire dalla presidenza di Camillo Galba. Auspico e credo sarà possibile, che anche alle prossime elezioni per il direttivo e la presidenza dell’Aser si arrivi altrettanto uniti, con nomi indicati da questo direttivo che comprendano un po’ tutte le anime, le ragioni politiche, territoriali e professionali della nostra Associazione. Sarà fondamentale avere una squadra unita per contrapporsi all’attacco senza precedenti che, a partire dal governo in carica ma non solo, viene portato contro la nostra professione.

Mi conforta pensare che l’Associazione non ha mai mancato di far sentire la propria voce a tutela dei colleghi minacciati, di chi è stato impedito nello svolgimento della professione, nelle campagne per la libertà di stampa e per illuminare le zone d’ombra, per non lasciar solo nessuno e proteggerlo con l’unica scorta, quella mediatica, che noi giornalisti possiamo garantire. Lo scorso anno a Conselice, per le manifestazioni dell’1 ottobre, abbiamo ospitato Paolo Borrometi, giovane collega sotto scorta perché finito nel mirino delle mafie per le sue inchieste in terra siciliana. La sua è stata una testimonianza importante, così come era stata bella e arricchente la serata precedente, sempre nel teatro di Conselice, con Loris Mazzetti che ha ricostruito la straordinaria storia professionale di Enzo Biagi attraverso spezzoni tratti dall’archivio Rai. Un archivio straordinario quello di Biagi posseduto dalla Rai e di cui Mazzetti ha le “chiavi”. Mi auguro che questo archivio diventi anche patrimonio della nostra regione perché è dobbiamo  preservare questo importante pezzo del nostro giornalismo televisivo. E con Mazzetti e Borrometi, insieme al presidente della Fnsi Giulietti, all’Aser e all’Ordine, è nata nei mesi scorsi la costola emiliano-romagnola dell’associazione Articolo 21, presieduta dalla docente del corso su “Mafie e antimafie” dell’Università di Bologna Stefania Pellegrini. Credo che questa associazione meriti un po’ d’impegno da parte del sindacato per le importanti battaglie che conduce e che sono racchiuse nel suo stesso nome. Voglio ricordare che l’Aser ha preso l’impegno di fare da scorta mediatica al collega Donato Ungaro, che ha pagato duramente l’aver denunciato, tra i primi, cosa succedeva nel Reggiano, in particolare a Brescello dove era anche dipendente comunale in quanto vigile urbano, il primo comune dell’Emilia-Romagna poi sciolto per mafia. In questo momento Ungaro è sotto attacco perché dalla sua vicenda è stato tratto uno spettacolo teatrale che sta girando l’Italia. Gli autori sono stati querelati per diffamazione dall’ex sindaco e minacce di analoghe querele sono giunte ai teatri che intendono ospitare questa rappresentazione. Troppo facile tentare di spegnere le luci con querele temerarie su di un evento di teatro civile che dovrebbe allertare le coscienze forse un po’ troppo a lungo sopite in questa regione. L’Aser, ne sono certa, continuerà a difendere i colleghi con la schiena dritta che non si lasciano intimidire.

Ricordo che l’Aser si è costituita parte civile nel processo Aemilia a fianco di due colleghi minacciati e ha già ottenuto nel primo e nel secondo grado dello stralcio del processo che riguardava i due colleghi il riconoscimento di un risarcimento quantificato in circa 25.000 euro. Forse non riusciremo mai a incassarlo, ma quello che conta è aver visto riconosciuto il ruolo di parte lesa dell’Associazione della stampa.

Il direttivo dell’Aser ha già deliberato la richiesta di costituzione di parte civile nel processo contro l’ex editore della Voce di Romagna Gianni Celli, su cui gravano pesanti imputazioni e che dovrebbe andare a giudizio dopo l’estate. Riteniamo non solo di dover stare al fianco dei colleghi angariati e licenziati nella prima fase di quella triste avventura editoriale, ma di essere noi stessi parte lesa come Associazione perché proprio dal disconoscimento – giusto per usare un eufemismo – del sindacato dei giornalisti prese l’avvio l’ancora presunto comportamento delittuoso dell’editore.

Non siamo mai mancati a Conselice e mi auguro continueremo ad avere come punto di riferimento quel monumento, voluto e realizzato grazie all’impegno di due colleghi e di un collega onorario, purtroppo tutti e tre scomparsi e che voglio ricordare con affetto: il mio predecessore Camillo Galba, Gian Pietro Saviotti e l’ex sindaco di Conselice Maurizio Filippucci.

Quest’anno è ricorso il quarantennale dell’attentato terroristico alla sede dell’Asem in via San Giorgio, in cui perse la vita Graziella Fava. L’abbiamo commemorata con i parenti e il presidente del quartiere Porto il 13 marzo nei giardini a lei dedicati, ma quest’anno abbiamo organizzato un’iniziativa in collaborazione con l’Odg – che è anche un corso con i crediti formativi – per sabato 6 aprile nella sede del quartiere in via dello Scalo. Sarà un’occasione per ricostruire il clima durante gli anni del terrorismo a Bologna, le vicende della fine degli anni Settanta e le indagini relative all’attentato alla sede del Sindacato e ad alcuni giornalisti finiti nel mirino di una frangia di Prima Linea. Ci sarà anche un testimone diretto di quegli eventi, Davide Ferrari, figlio dell’allora presidente dell’Asem, Aldo, che potrà raccontare aspetti in parte inediti di quelle vicende ricostruite attraverso i racconti che ne faceva il padre in casa. Vi invito caldamente ad esserci, soprattutto i colleghi più giovani, per conoscere meglio quei tragici fatti e perché credo sia uno dei doveri del Sindacato, a maggior ragione di un Sindacato dei giornalisti, prodigarsi per tenere viva la memoria.

Mi fermo qui. Come ho detto all’inizio, questa per me è l’ultima assemblea di bilancio come presidente dell’Aser e quindi vorrei rubare qualche minuto a titolo personale. Come sa chi mi conosce non mando mai a dire quello che penso e quindi anche in questa occasione lo farò perché non voglio avere, dopo il 6 giugno, sassolini da togliermi dalle scarpe, se non altro perché incompatibili con il tacco 12. Ma comincio con i ringraziamenti a tutti i componenti del direttivo anche a chi in alcuni momenti ha avuto atteggiamenti di aperta ostilità che non sempre ho compreso, se non altro perché non hanno portato alcun vantaggio alla categoria che invece avrebbe tanto bisogno di ricompattarsi. Ringrazio quindi anche gli haters di professione, lo dico senza alcuna ironia, se non altro perché mi hanno insegnato molto sotto il profilo antropologico, oltre che sotto quello politico. Oggi lo dico apertamente: ci sono stati attacchi personali che mi hanno fatto molto soffrire. Ma di più mi ha fatto soffrire l’indifferenza di alcuni colleghi rispetto a queste situazioni e il grande senso di solitudine che ho provato nel dovere fare alcune scelte. Ve ne racconto una per tutte, perché credo sia emblematica. Come forse molti di voi sapranno un collega dell’ex Voce di Romagna mi querelò per diffamazione per ragioni del tutto pretestuose. Non solo, fu il principale alimentatore di una campagna denigratoria e calunniosa nei miei confronti fatta di articoli sbeffeggianti ma anche velatamente minacciosi pubblicati su quel giornale e di chat di redazione, che circolavano anche all’esterno come avviene in questi casi, in cui la sottoscritta era il soggetto di frasi che andavano dall’ingiuria all’incitamento alla violenza sessuale. Il tutto è culminato con la querela recapitatami a casa l’ultima sera dell’anno 2016 da una, a sua volta sconcertata, pattuglia della polizia. Per oltre tre anni ho vissuto con questa spada di Damocle sulla testa. Il pm aveva chiesto l’archiviazione per lieve entità del fatto ma, consapevole di non avere fatto nulla e pretendendo il proscioglimento con formula piena, avevo dato mandato all’avvocato Scenna del foro di Rimini di fare opposizione. Sono passati mesi. Nel frattempo il querelante mi ha chiesto dei soldi per ritirare la querela e una lettera di scuse con cui avrebbe voluto probabilmente continuare a sbeffeggiarmi, visto che non accettava di vincolarla a un patto di riservatezza. Sono andata avanti ma con molta fatica, anche perché quasi nessuno – a parte il mio avvocato – si è sbilanciato a darmi un consiglio, evitando addirittura il discorso. Ho avuto anche un momento di difficoltà, in cui ho pensato di pagare per togliermi questo pensiero. Però ho tenuto duro. Così, a fine gennaio, siamo comparsi davanti alla capo dell’ufficio dei Gip di Bologna, a latere una collega e presenti tre giovani ragazze tirocinanti. Non senza imbarazzo, ma con grande signorilità, l’avvocato Scenna ha ripercorso la vicenda e ha letto alcune delle frasi che venivano rivolte alla mia persona nelle mail di redazione, sottolineandone il tono sessista e fascista e il fatto che io, per scelta etica, non avessi mai voluto rivalermi nei confronti di questo e altri colleghi. La Gip si è riservata. E’ passato più di un mese e alla fine mi ha prosciolta per infondatezza dell’accusa. Questa sentenza è stata depositata l’8 marzo.

Ora il mio augurio è che il prossimo direttivo possa ritrovare quell’affiatamento e quello spirito di battaglia comune che l’ha contraddistinto in passato rispetto ad altre associazioni territoriali. Credo che lo stia già facendo, come ha dimostrato l’azione compatta della delegazione dell’Emilia-Romagna all’ultimo congresso della Fnsi a Levico Terme. Se mi posso permettere un unico consiglio da presidente uscente: meno arrivismi e più solidarietà, meno ricerca di poltrone e di potere (quale poi non so…), meno ripicche e contese personali, meno desideri di redde rationem e più attenzione agli altri. Ripeto la parola: solidarietà. Può sembrare obsoleta, ma ricordiamoci che è scritta nelle due principali Carte che ci dovrebbero guidare: la Costituzione e la legge istitutiva dell’Ordine. Pensate alla sua etimologia, dal latino solidus, solido: qualcosa di compatto, granitico.

La solidarietà è il sostegno reciproco, al modo in cui ogni parte di un solido è retta e tenuta salda da tutte le altre: nessuna si ritrova sola nel vuoto. Credo che questa sia la mission di un sindacato. Ogni organizzazione solidale è un’organizzazione solida e coesa. Auguro quindi al nuovo direttivo più solidarietà e, di conseguenza, all’associazione più solidità.

Colgo l’occasione di questo momento che per me è un addio, non al sindacato ma a qualsiasi ruolo in esso, per ringraziare davvero di cuore tutti quelli che hanno collaborato con me in questi otto anni. Un grazie particolare al vice presidente Giorgio Maria Leone, che mi ha supportato negli impegni più gravosi con una competenza rara che sarebbe davvero un peccato disperdere. Non nego che talvolta abbiamo avuto visioni differenti e anche scontri feroci, ma sempre senza infingimenti e questo l’ho apprezzato molto. Soprattutto, anche quando ci siamo contrapposti, non abbiamo mai smesso di guardare nella stessa direzione, cioè a cercare di fare il meglio possibile per i colleghi e per il sindacato. Di lui non dimenticherò la generosità, non solo intellettuale. Per tornare alla metafora del tunnel di cui non si vede l’uscita, diciamo che Leone è stato forse quello che si è impegnato di più per arredarlo e renderlo un po’ più confortevole.

Grazie al supporto dato da tutti i membri dell’esecutivo, ognuno per le proprie possibilità. Grazie ai componenti del direttivo, ai fiduciari degli enti, ai presidenti delle associazioni territoriali, dei gruppi di specializzazione e dell’Ungp, ai componenti della commissione lavoro autonomo e al vice segretario della Fnsi Mattia Motta. Grazie soprattutto a quei colleghi che, anche senza cariche, hanno messo a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze per il bene comune. Non faccio nomi, loro sanno di chi parlo. La generosità, a mio modo di vedere, non è una qualità, ma è un dono perché prima o poi ti tornerà indietro. Ed è quello che auguro a queste colleghe e colleghi. Non smetterò mai di ringraziare le impiegate dei nostri uffici. Lucia, Alessandra e Monica sono le colonne portanti della casa dell’Aser: senza di loro faremmo ben poco. Il ringraziamento nei loro confronti non è solo per la bravura e la professionalità, ma soprattutto per la capacità di accoglienza e di empatia con utenti di una categoria, ammettiamolo, non facile. Grazie ai colleghi che non ci sono più e che ci hanno lasciato tanto. Cito per tutti gli ex presidenti Camillo Galba e Paola Rubbi, che ricorderò sempre con grande affetto. Un grazie di cuore anche a tutti i nostri legali – in particolare Alberto Piccinini, Anna Nuvòli, Valerio Vartolo e Gianni Scenna – per la cura e l’attenzione che hanno per la nostra Associazione: è vero che è il loro lavoro, ma c’è chi lo svolge con maggiore passione e coinvolgimento di altri.

Ho finito. Sono sicura che chi verrà dopo di me sarà più che all’altezza di questo compito faticoso ma anche molto arricchente. Grazie a chi ha avuto fiducia in me; credo di non averla tradita, se qualche volta non sono stata all’altezza ho però sempre agito alla luce del sole e in buona fede. Tra due mesi si conclude il mio impegno e approfitto delle presenze di oggi per salutare tutti. Si chiude qui un’avventura a volte impervia e ostacolata ma vi assicuro che, conoscendomi, già da domani ricorderò solo i momenti belli.

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