Addio a Gian Franco Bellè, 50 anni da vero giornalista
di Gianluca Zurlini
Se esiste un prototipo possibile del giornalista, allora questo lo si poteva vedere in Gian Franco Bellè, scomparso a 71 anni dopo avere lottato per alcuni mesi contro un tumore che alla fine lo ha stroncato.
Perché Bellè, “Sandro” per gli amici, vedeva il giornalismo come una missione. E nella redazione della “Gazzetta di Parma”, dove ha lavorato per ben 39 anni, dal 1967 fino al 2006, quando è andato in pensione con la qualifica di caporedattore, aveva messo una frase eloquente sopra la sua scrivania: “L’entusiasmo fa parte del contratto di lavoro”. Perché per lui giornalismo voleva dire non avere orari, anche se comunque era il primo a pretendere dall’azienda il rispetto delle norme basilari del contratto. E mai si è sognato di non aderire a uno sciopero e toglieva il saluto ai colleghi che lo facevano, perché non degni del suo rispetto, visto che nella sua visione doveva lottare per tutta la categoria e non solo per salvare se stessi. Ma a questo rigore morale abbinava un entusiasmo che ancora adesso non lo aveva abbandonato: arrivava in redazione sempre per primo e molto spesso era l’ultimo ad andarsene. E questo perché, nella sua idea, se si volevano avere orari certi e una vita regolare, allora si doveva fare l’impiegato e non il giornalista.
Il giornalismo per lui era soprattutto scrittura e non passava praticamente giorno senza che la sua firma comparisse sul giornale, anche quando, negli ultimi 16 anni di lavoro, era diventato il caposervizio dello sport, il grande amore della sua vita, praticato e anche scritto. Ma Bellè era un giornalista “a tutto tondo”, perché di Parma, città in cui era approdato giovanissimo al seguito del padre, l’arbitro internazionale Ferruccio Bellè, da Venezia, conosceva vita, morte e miracoli di quasi tutti. E non c’era retroscena, anche di cronaca, che lo cogliesse impreparato. Sempre sul pezzo, esigente e rigoroso con i collaboratori e con una maschera da finto burbero che nascondeva però una grande bontà d’animo. L’impegno nel giornale non gli impediva di essere attivo su più fronti nel volontariato, dall’Unitalsi, con 18 pellegrinaggi a Lourdes come barelliere e la guida dei pulmini per il trasporto dei disabili, all’aiuto al comitato paralimpico, di cui era consigliere regionale.
Bellè era anche un amico vero, che aiutava quando c’era davvero bisogno e anche negli ultimi tempi, già malato, andava in ospedale per fare visita ai conoscenti ricoverati. Sul lavoro, era esigente: e per lui era sacra e inviolabile la distinzione tra professionisti e pubblicisti, che erano da rispettare, ma erano comunque una categoria diversa da chi la professione la esercitava a tutto campo come lui. Con Gian Franco Bellè se ne va un giornalista che In 50 anni di iscrizione all’Ordine ha onorato nel più degno dei modi il lavoro del giornalista.
I funerali si terranno venerdì 16 settembre alle 14,45 a Parma nella chiesa dello Spirito Santo in via Picedi Benettini.