il 24 aprile il Consiglio generale dell’Inpgi ha approvato (43 sì, 15 no) il bilancio 2017 che si è chiuso con un disavanzo di gestione di poco superiore ai 100 milioni di euro. Una situazione pesante provocata da un drastico calo dei ricavi, che come ha sottolineato la presidente dell’Istituto, Marina Macelloni, sono in diminuzione da 10 anni. Nel 2017 è stata registrata una perdita di attivi pari a 889 unità: nel 2016 i rapporti di lavoro in essere erano 16.045, l’anno scorso erano scesi a 15.156. Alta sempre la spesa per gli ammortizzatori sociali, 24,2 milioni di euro, con circa 7mila colleghi interessati. La presidente Macelloni, nel suo intervento, ha sottolineato come l’Inpgi sia un’azienda sana e che non ha altre criticità, a parte appunto la contrazione dei ricavi, sulla quale, ha spiegato, “non possiamo incidere direttamente”. Serve quindi, ha auspicato, una legge di sistema di tutta l’editoria, che non si limiti a finanziare i processi di ristrutturazione delle aziende, ma che abbracci tutte le forme nuove di informazione e comunicazione che stanno emergendo. Insomma, servono più professionisti che versino contributi all’Inpgi, se no, considerata la situazione, le entrate continueranno ad essere sempre più ridotte rispetto alle uscite per pagare le pensioni. Basta un dato: oggi i versamenti di circa 3 iscritti servono per pagare quanto aspetta mensilmente a 1 pensionato.
Entrando ancora nei dettagli dei numeri, lo scorso anno sono andati in pensione 509 colleghi, 150 per vecchiaia, 123 in prepensionamento e 236 per anzianità. Complessivamente gli iscritti alla gestione principale sono 35.318, tra attivi, pensionati e silenti, 42741 sono invece gli iscritti all’Inpgi 2. Gli iscritti a tutte e due le gestioni sono 18.380, ma solo circa 3.000 nel 2017 hanno versato contributi a entrambe. La media retributiva della categoria è di 16.846 euro all’anno (in calo) e la media delle pensioni è invece di 65.000 euro. Diverso il discorso per la gestione separata: il bilancio approvato (52 sì, 3 astenuti) è in attivo per 48 milioni di euro. E’ un quadro quindi di forte sofferenza, la riforma è pienamente operativa, anche se, come è stato evidenziato, gli effetti ci saranno solo sul lungo periodo, e nel frattempo continua la dismissione immobiliare (entrata nel vivo da circa un anno) con la liquidità che serve appunto per pagare parte delle pensioni.
Che fare? La riforma, come accennato, è in corso ed è stata sicuramente dura (con qualche neo, tipo la riduzione delle indennità di disoccupazione), i pensionamenti diminuiranno sensibilmente (ora per lasciare il lavoro servono o almeno 62 anni di età e 40 di contributi oppure 66 anni e 7 mesi di età, che, salvo novità, saliranno a 67 dal 2019) e sui prepensionamenti, visto che non ci sono risorse, anche se invocati come rimedio di tutti i mali dalle aziende, le incognite sono tantissime. La gestione dell’ente è corretta e sana – non sono aumentate le spese per il personale e per la funzionalità degli uffici – ma detto come va detto se non si interviene presto e bene nel giro di una decina d’anni, con perdite pari a 100 milioni ogni 12 mesi, il patrimonio sarà azzerato. Le soluzioni, però, possono arrivare solo dall’esterno, siamo sempre in attesa di un contratto che allarghi la platea dei possibili iscritti, di interventi comuni da parte di tutte le rappresentanze dei giornalisti (il Coordinamento degli enti è nato da poco, vedremo che risultati avrà) e di un governo col quale potere avviare il confronto. Da sola l’Inpgi non può arrivare da nessuna parte ed è necessario, anzi doveroso, anche un coinvolgimento pesante della Fieg e degli editori che continuano a scaricare le proprie incapacità sull’ente, tra ammortizzatori sociali e stati di crisi. Insomma, solo lavorando uniti si può (forse) trovare una soluzione, lasciando da pare i catastrofismi che (troppo spesso) molti colleghi stanno cavalcando. Senza offrire soluzioni costruttive.
Matteo Naccari
Fiduciario Inpgi Emilia Romagna