“#ComeTiSenti: giornalisti mai più senza rete”, presentato il progetto in Fnsi
«Meno di una settimana prima della firma, il direttore mi ha comunicato che non mi avrebbero fatto il contratto. Io, che per quel lavoro avevo cambiato città, ho cominciato a soffrire di insonnia e apnea notturna». «Ricevevo continuamente pressioni da parte del capo per l’ennesima breaking news da scrivere velocemente. Non riuscivo più a dormire». «Per uno dei quotidiani con cui collaboro mi trovo a svolgere anche innumerevoli altri ruoli: capo servizio per prodotti editoriali del gruppo, social media manager, ufficio stampa. Durante un evento mi è stato chiesto di servire gli antipasti». E ancora trauma vicario (causato dall’ascolto del dolore altrui durante le interviste), senso di impotenza e frustrazione, tra la minaccia di querele e una situazione economica sempre più precaria. Sono le storie raccolte dall’indagine realizzata dalla giornalista Alice Facchini “Come ti senti?”, che restituisce il termometro di un’intera categoria professionale e rompe il tabù della salute mentale nel giornalismo.
Da qui parte oggi il progetto “#ComeTiSenti: giornalisti mai più senza rete” , promosso dal centro di giornalismo d’inchiesta Irpi (Investigative Reporting Project Italy) con la Federazione nazionale della Stampa italiana, Casagit Salute e l’Ordine dei giornalisti Lombardia, per sensibilizzare sul tema e provare a fornire risposte e strumenti, perché lo stato della salute mentale dei giornalisti è legato alla qualità dell’informazione e ha dunque impatto diretto sulla salute della nostra democrazia.
L’indagine, rivolta ai giornalisti freelance o con contratti parasubordinati, attraverso un questionario ha raccolto 558 risposte (età media 18-35 anni, il 30% 35-45 anni e 55% donne). I risultati parlano da soli: l’87% soffre di stress, il 73% di ansia, il 68% sente un senso di inadeguatezza. Più del 40% denuncia la sindrome da burnout, attacchi di rabbia immotivati e dipendenza da internet e dai social network. Uno su tre parla esplicitamente di depressione. Tra i fattori di maggiore impatto: instabilità e precarietà, compensi troppo bassi, dover rimanere sempre connessi e reperibili, i ritmi frenetici.
«Un lavoro precario – commenta la segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante – porta a una vita precaria. È il trauma del vivere quotidiano senza certezze né una rete e coinvolge il 90 se non il 100% della popolazione giornalistica. Oggi il 70% dei nostri colleghi non ha un contratto, ma vive alla giornata. Ma come si può vivere serenamente con 17 mila euro l’anno con partita Iva da pagare? Sta diventando una professione che si fa perché si è disperati o perché dietro ci sono mamma e papà che ti danno da mangiare. Un grave errore è anche avere un albo professionale con 100 mila iscritti, perché così un editore può rispondere che c’è la fila dietro di te. Tutti quegli iscritti servono solo a tenere basso il costo del lavoro».
«La politica ha scelto di non decidere – aggiunge il giornalista Mattia Motta, ex presidente Clan-Fnsi -. L’informazione oggi non ha bisogno solo di fondi straordinari, ma di una normativa per un piano industriale». «Tra i nostri soci abbiamo 4.848 giornalisti non contrattualizzati, che si portano dietro 571 familiari», dice Gianfranco Giuliani, presidente Casagit, raccontando dei nuovi pacchetti agevolati realizzati con l’Inpgi. «Pensavamo fossero per i giovani, invece l’età media dei co.co.co. che hanno aderito è 48 anni, 51 quelli con partita Iva».
Il progetto “#ComeTiSenti: giornalisti mai più senza rete”, racconta Alice Facchini, «prevede ora la piattaforma cometisenti.info, con sportelli a disposizione dei freelance e una pagina per inviare segnalazioni in anonimato. In autunno arriverà un libro, una sorta di manuale-promemoria, e una serie di eventi per aprire un dialogo interattivo sui territori». (Ansa, 21 maggio 2024)