Il presidente della Cei Bagnasco su crisi dell’informazione ed etica delle notizie

Preoccupa i vescovi italiani la crisi dell’editoria, che non è soltanto economica ma anche di etica del giornalismo. L’allarme viene dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, che aprendo a Roma l’assemblea della  Federazione Italiana Settimanali Cattolici, ha ricordato che il  “sostegno al pluralismo informativo è una condizione della  democrazia”.
“Anche i giornali, come altri segmenti dell’industria in generale e di quella culturale nello specifico, sono in crisi da  tempo”, ha sottolineato Bagnasco: “Fa pensare una notizia di non molti giorni fa, e cioè la vendita della sede storica di via  Solferino da parte del maggiore quotidiano nazionale. Ed è veramente un segno, preoccupante, dei tempi”. Secondo Bagnasco, “il sostegno al pluralismo informativo è  una condizione della democrazia che deve ovviamente guardarsi da sperperi e abusi, e tuttavia si rende ancor più necessario in un momento in cui l’afflusso di notizie richiede una maggiore capacità di vaglio critico ed interpretativo”. Il presidente Cei ha auspicato che si “possa riaprire nelle sedi competenti un dialogo costruttivo che non penalizzi proprio quelle realtà piccole che danno voce ai territori dell’intero Paese”. Bagnasco ha parlato anche di un “certo affanno della  professione giornalistica evidente in molte sue derive, che  ormai purtroppo sono più routine che eccezioni”. Il numero uno dei vescovi italiani ha parlato di “uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate allo scopo di sostenere o danneggiare una parte in causa nell’agone pubblico”; del “silenzio calato, allo stesso scopo, sulle notizie che romperebbero pregiudizi e che si ha vantaggio a mantenere”, criticando anche un “uso voyeuristico e acritico del ‘diritto di cronaca’, senza nessuna preoccupazione per le parti in causa (come i parenti delle vittime per esempio) o gli effetti sull’opinione pubblica. O ancora, nella corsa allo scoop che non esita a violare non solo la privacy, ma i tempi e i ritmi di istituzioni che devono operare discernimento e confronto  piuttosto che sfamare la curiosità spesso indotta del pubblico”.
“I giornalisti dovrebbero essere più consapevoli del fatto che le parole non sono mai termini neutri – prosegue Bagnasco – ma sono finestre sul mondo che ci fanno vedere tanto di più quanto meno sono ristrette e ipersemplificate. Senza contare, poi, che è molto più facile incollare un’etichetta che staccarla, e quella che ci va di mezzo è la vita delle persone”. Secondo Bagnasco, inoltre, “non si può negare che nel nostro Paese si avverta la presenza di proprietà editoriali invadenti e comunque molto più versate alla tutela dei propri interessi che alla qualità dell’informazione.
D’altra parte un sistema non può garantire ‘indipendenza di giudizio quando è economicamente dipendente da quei poteri che dovrebbe controllare. Ciò pone, peraltro, una questione centrale perché la qualità della comunicazione contribuisce non poco alla salute di un Paese democratico”.
Ma, conclude Bagnasco, è tuttavia “possibile individuare anche oggi le tracce molteplici di un giornalismo che sa resistere alla tentazione del servilismo e del carrierismo, rendendo così un ‘servizio pubblico’, che accresce la qualità democratica. Ci sono addirittura giornalisti che sacrificano la loro vita, come è accaduto in tutto il mondo per centinaia di essi: uccisi, minacciati, torturati o soggetti ad intimidazioni. Ciò dimostra che si può agire diversamente rispetto ad un quadro  che sembra rendere impossibile l’esercizio di un compiuto ruolo  sociale. Il giornalismo cattolico non può esimersi da una seria  valutazione del proprio operato mettendo in conto i rischi  evocati, ma anche le possibilità di testimonianza sottese”.

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