Il punto sulla trattativa per il rinnovo del contratto Fieg-Fnsi di Guido Besana
Il contratto FNSI FIEG è scaduto il 31 marzo del 2013 e la trattativa per il rinnovo è arrivata a uno snodo in questi giorni; da un po’ di tempo girano le voci più disparate e sale la preoccupazione, tra polemiche fantasiose e confronti concreti, su cosa potrebbe succedere nei prossimi due mesi.
Provo a riassumere, ma inevitabilmente non sarò breve.
Prima parte, i quattro tavoli
Il 9 aprile 2013 le delegazioni si incontrano per la prima volta: da entrambe le parti del tavolo si sottolineano le difficoltà della fase di crisi, strutturale e congiunturale, dell’editoria.
La FNSI per bocca di Franco Siddi sottolinea la necessità di individuare gli elementi di ripresa e sviluppo che possano favorire l’occupazione, l’importanza dell’attenzione ai giovani, ai precari, agli autonomi e ai parasubordinati, l’indispensabilità della tenuta dei conti dell’Inpgi, la disponibilità a un’innovazione anche forte ma che non sia l’abbandono del contratto come lo conosciamo.
La FIEG pone l’obiettivo della tenuta del sistema, l’adeguamento del contratto ai nuovi sistemi organizzativi, maggiore flessibilità, un ulteriore intervento sugli automatismi, la definizione delle nuove figure professionali, la revisione
dell’accordo sull’ex fissa e una ridefinizione dei confini tra subordinati e parasubordinati. Evidentemente, anche se Giulio Anselmi non lo dice, sono tutte richieste al ribasso.
All’incontro partecipa anche l’Inpgi, e Andrea Camporese mette sul tavolo la disponibilità dell’Istituto a accompagnare le parti, sottolineando come l’Inpgi abbia speso in tre anni di crisi circa 100 milioni di euro in più, rispetto alla contribuzione per ammortizzatori sociali, per sostenere imprese e occupazione e preveda che per il 2013 la spesa possa raggiungere i 70 milioni; richiede di
favorire la protezione nel medio periodo e il rilancio del sistema nel
lungo.
Si concorda di formare quattro tavoli paritetici per affrontare le tematiche emerse: welfare, ex fissa, lavoro autonomo, innovazione del testo contrattuale.
Welfare: i lavori si concludono in un paio di riunioni, c’è la nostra proposta di introdurre un’aliquota temporanea a carico delle aziende per sostenere il costo di cassa integrazione e contratti di solidarietà, per un lasso di tempo da concordare, che al termine del periodo venga trasformata in aumento retributivo, la richiesta della Fieg di ragionare su una non meglio definita revisione delle prestazioni ( plausibilmente potrebbe trattarsi del trattamento di disoccupazione in caso di dimissioni ); rimane ancora oggi la soluzione ipotizzata, si parla di uno 0,8% o di un 1%, e questa aliquota dovrebbe essere “gemellata” con un intervento a carico del fondo straordinario per l’editoria stanziato nella legge di stabilità per il triennio ’14/’16.
Ex fissa: dal tavolo emergono alcune indicazioni sulle modifiche da apportare alle prestazioni, in particolare che se ne possa maturare una sola nella vita lavorativa, che sia parametrata su una media retributiva e non sulla penultima mensilità come ora, che vengano riviste le aliquote di rivalutazione, attualmente al 5% annuo, che si possa introdurre una rateizzazione del capitale.
Lavoro autonomo: dal tavolo emerge una riscrittura dell’accordo nazionale inserito nel CNLG del 2001, ma appare evidente che il contemporaneo difficile avvio dei lavori della Commissione Ministeriale sull’equo compenso sposta il terreno del confronto in altra sede.
Innovazione: è il tavolo da cui emergono le ipotesi più numerose, determinate dalle diverse posizioni in campo, e che si conclude con la registrazione di una parte di esse in un testo che è il primo ad incorrere nei travisamenti tipici di ogni vertenza contrattuale, con polemiche sul fatto che la Federazione abbia accettato di destrutturare il Contratto alimentate da chi lo scambia per il testo di un accordo.
Seconda parte, il negoziato
L’8 ottobre, in riunione plenaria, si unificano i tavoli.
La Fieg viene al dunque, chiede la revisione degli ammortizzatori sociali per ridurne il costo, il superamento ( traduzione: la cancellazione ) dell’ex fissa, una estensione dei contratti a termine, l’introduzione dell’apprendistato ( e pare lo voglia prevedere a monte del praticantato ), maggiore flessibilità nella
gestione dei dipendenti. Pone il problema dell’insufficienza della legge 416 per la gestione delle crisi e delle ristrutturazioni.
La Fnsi pone come pregiudiziale il sostegno all’occupazione e dichiara che nel contratto di flessibilità ce n’è già molta, si dichiara disponibile a un lavoro comune nei confronti del Governo.
A questo punto si apre un percorso di circa tre mesi segnato da due temi di fondo in continua evoluzione: da un lato i lavori della Commissione equo compenso, che un passo alla volta portano alla delibera del 29 gennaio, dall’altro una successione di ipotesi sulle quali vengono fatte proiezioni attuariali sulla sostenibilità del fondo dell’ex fissa, che alla fine risulta sostenibile solo se alle misure di rigore e moralizzazione si affiancano la sua
liquidazione attraverso un prestito dell’Inpgi, o di altri, finanziato dagli editori e la sua sostituzione con un nuovo tipo di prestazioni, ad accumulo individuale.
Nel frattempo comincia ad emergere il tema della trasformazione dei rapporti parasubordinati ( fittizi o “abusivi” ) in rapporti di lavoro dipendente, punto di interesse comune alla luce del fatto che il dibattito sul lavoro autonomo sta evidenziando una vasta area di possibile contenzioso legale e dell’esigenza di un ampliamento dell’occupazione stabile.
Non mancano i momenti di tensione, avanzamenti e arretramenti sono continui, più che in altre occasioni risulta difficile tenere separate le competenze del Governo, che inserendo nella legge di stabilità il fondo straordinario per l’editoria aiuta ad avanzare ma determina anche sospensioni in attesa di un decreto regolamentare che ancora oggi manca, dell’Ordine, che contribuisce ai lavori sull’equo compenso ma non può svolgere alcun ruolo negoziale, dell’Inpgi che passa da soggetto a oggetto con frequenza impressionante.
Il 22 gennaio è chiaro che il Sottosegretario Legnini chiede un accordo entro fine febbraio sui compensi per i lavoratori autonomi, anche se in base al parere del Professor Treu si parla prevalentemente di co co co, per poter basare la definizione dell’equo compenso su un contratto tra le parti sociali. Si prova a stringere, poniamo le richieste normative: tracciabilità, autonomia gerarchica e disciplinare, estraneità all’organizzazione redazionale, rappresentanza sindacale, assicurazione, casagit, previdenza complementare, diritto di firma, ingresso nel sistema di welfare tipico della gestione principale dell’Inpgi, procedura di conciliazione delle controversie, compensi strutturati su contrattazione nazionale più contrattazione aziendale o di gruppo o territoriale più contrattazione individuale, rimborso spese.
Il 3 febbraio, dopo un breve passaggio sulla confusione dei calcoli sull’ex fissa, che ormai paiono sfuggiti al controllo delle parti, riassumiamo in un testo le nostre proposte sui co co co, rivisto alla luce della delibera della Commissione equo compenso, compresa la curiosa dizione sulla condizione di “economicamente dipendente” voluta dall’Ordine che rimanda indirettamente
alla “legge Fornero”.
Il 12 febbraio la Fieg ci dice che stiamo chiedendo un eccesso di regolamentazione e comincia a contestare alcune parti della proposta, come i tre livelli di contrattazione e la rappresentanza sindacale.
Franco Siddi va alla stretta e propone: chiudiamo sui compensi dei cococo entro il mese, e entro marzo chiudiamo su lavoro autonomo, welfare, fissa e parte economica; questo è il recinto, altri temi sono percorribili solo in seguito e solo a fronte di rilevanti aumenti retributivi.
Terza parte, le sintesi
Ovviamente nel frattempo è caduto il Governo, si è insediato quello nuovo, è arrivato un nuovo Sottosegretario all’editoria, Luca Lotti, che ha avuto la delega solo ai primi di aprile, sono stati presentati i dati del rapporto annuale della Fieg sui bilanci, negativi, delle aziende editoriali e quindi tutto si è ulteriormente complicato. Però si è lavorato sui cinque punti che potrebbero
costituire un rinnovo, certo molto leggero e poco rivoluzionario, del CNLG.
parte economica: ci sarà un aumento in busta paga, ovviamente contenuto
visto che si baserà sull’indice del costo della vita e sarà determinato anche dagli altri costi del rinnovo.
welfare: ci sarà l’aliquota straordinaria, come delineata sopra, che poi confluirà in busta paga.
Su questi due punti, anche se mancano le cifre, l’accordo c’è.
I due punti successivi richiedono una ampia premessa, per inquadrarli correttamente.
Al 31 Dicembre 2013 lavorano per le aziende editoriali italiane 9308 colleghe e colleghi inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi.
3878, oltre il 40%, hanno un reddito annuo inferiore ai 3.000 euro, in media 1.124 euro. 1996, oltre il 20%, hanno un reddito annuo tra i 3000 e i 7.000 euro, in media 4.782 euro.
Dei restanti 3434, circa il 37%, 456 hanno un reddito annuo che supera i 30.000 euro, con una media di 55.574 euro.
Ci sono quindi circa 3.000 persone inquadrate come collaboratori coordinati e continuativi che percepiscono una retribuzione annua oscillante tra quella di un corrispondente da un capoluogo e quella di un redattore di prima nomina.
Due cose sono evidenti: si tratta di redditi percepiti nell’anno, ma in parte si riferiscono a rapporti di lavoro di durata inferiore, e si tratta sovente, come dimostrano le ispezioni dell’Inpgi, di rapporti subordinati mascherati da cococo.
Una distribuzione analoga si riscontra per i liberi professionisti (partite IVA, cessione diritti, ritenute d’acconto, occasionali etc.) in base alle dichiarazioni sui redditi 2012, le ultime di cui sono disponibili i dati.
Su 14.953 poco più del 60% denuncia redditi inferiori ai 7.000 euro, l’11%, pari a 1.668 posizioni, ha avuto redditi superiori ai 30.000 euro, con una media di 67.452 euro nell’anno, 3.866 si sono collocati nella fascia di reddito tra i 7.000 e i 30.000 euro.
Anche per loro vale il ragionamento fatto sopra, le loro posizioni possono mascherare rapporti di lavoro subordinato o rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, e non è detto che quei redditi rappresentino un intero anno di lavoro.
A fronte di queste quasi 25.000 posizioni, tra parasubordinati e autonomi, si ipotizzano due interventi che possano ricondurre una parte del loro lavoro nell’ambito della correttezza e delle tutele.
lavoro parasubordinato: viene definito, nel contratto oggi possibile, cosa sia un cococo, quali caratteristiche debba avere il suo rapporto di lavoro, quali tutele abbia.
Secondo l’ipotesi che si sta facendo un cococo non può più essere utilizzato in redazione, fianco a fianco con un redattore ordinario, e non ne può più fare il lavoro. Contemporaneamente acquisisce alcuni diritti, al momento in fase di negoziato ( retribuzione mensile, assicurazione infortuni professionali, firma, tracciabilità dei compensi, rimborsi spese e previdenza complementare parrebbero raggiunti, casagit almeno in parte a carico del datore e rappresentanza sindacale sono in discussione, per l’accesso al welfare il percorso sarà ovviamente più lungo visto che l’Inpgi è sottoposto a vigilanza ministeriale ).
Per queste colleghe e colleghi c’è la disponibilità Fieg a definire una tabella di compensi minimi. Non è, evidentemente, un percorso facile.
Fieg pone un livello minimo di prestazioni come requisito per un livello minimo di retribuzione, e i due livelli discendono da ciò che attualmente accade nelle aziende rappresentate.
Il loro punto di partenza è semplice: sotto i nove/dieci articoli al mese, attorno alla cartella l’uno, per un quotidiano nazionale non riconoscono il carattere continuativo, e a quei livelli di prestazione riconoscono un compenso intorno ai tremila euro l’anno.
Il passaggio successivo è invece ancora in alto mare: cosa succede se i pezzi sono venti, trenta, sessanta al mese? Cosa succede in un quotidiano locale? E in un settimanale, un mensile, un’agenzia o un sito?
La loro ipotesi di partenza, i famigerati 27 euro a cartella, è evidentemente un parametro di difficile coniugazione e richiede un ulteriore sforzo negoziale per essere tradotto in un sistema retributivo il più possibile coerente con i livelli previsti per i giornalisti subordinati.
occupazione: su questo punto si sta ancora lavorando, c’è una disponibilità Fieg a concordare un percorso per la trasformazione dei rapporti cococo e precari oggi esistenti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Evidentemente sarebbe un percorso aperto a chi oggi, da TD o cococo, svolge il lavoro di un articolo 1 stabilmente inserito nelle redazioni. Evidentemente costoro non potrebbero ricadere nelle nuove previsioni per i cococo, quindi potrebbe essere possibile creare un bacino di colleghi che, con una gradualità ancora da definire, diventino dipendenti a tempo indeterminato. Si discute di gradualità, di livelli retributivi, di eventuali sgravi contributivi, del possibile intervento del fondo per l’editoria che, come ha annunciato il Sottosegretario Lotti, avrà come obiettivo principale la nuova occupazione.
Quindi oggi i problemi sono due: le garanzie sull’occupazione e le retribuzioni dei parasubordinati. Come possiamo essere certi che un numero rilevante di precari e parasubordinati rientrino in un tempo ragionevole nell’area del lavoro stabile? Come facciamo a garantire che a un cococo si riconosca una retribuzione equa, avendo per ora solo il minimo assoluto? Se c’è un cococo che fa un lavoro paragonabile a un articolo 12 ai minimi retributivi sappiamo che la proposta sul tavolo ha un senso, ma se è un cococo che fa un lavoro
paragonabile a un articolo 1 che scrive tutti i giorni di giudiziaria dobbiamo avere un livello retributivo equo e dignitoso anche per lui.
Quanto all’occupazione il problema è anche più sottile: finora il modello ha funzionato a livelli aziendali. Si faceva un elenco, si concordavano le date di trasformazione dei rapporti di lavoro e si firmavano le deroghe o le conciliazioni necessarie, ma a livello nazionale non ci sono elenchi di nomi, non ci sono bacini precisati.
Le certezze che ci permettano di dire che lo scambio ha un valore dobbiamo ancora inventarle e condividerle con la controparte.
fissa: il problema è abbastanza chiaro. Una trentina di anni fa venne istituito un fondo presso l’Inpgi alimentato da un versamento degli editori pari all’1,5% della somma delle retribuzioni dei giornalisti alle loro dipendenze. Questo fondo ha pagato nel corso degli anni una indennità pari a un certo numero di mensilità, da sette a tredici a seconda della qualifica, a chi lasciava il lavoro dopo oltre 15 anni alle dipendenze di una stessa azienda. Cambiando azienda
se ne potevano ottenere due, e visto che col crescere dell’età poteva diminuire l’anzianità necessaria anche tre. L’indennità viene calcolata sulla base della penultima retribuzione ricevuta, favorendo quindi chi alla fine della carriera veniva promosso in extremis. Ormai il fondo non regge più, e chi ha chiesto ieri la prestazione la vedrà fra una decina d’anni, però rivalutata a un tasso incredibile del 5% annuo.
Peccato che il fondo sia in pratica fallito. E se applicassimo tutti i correttivi finora ipotizzati ( una fissa nella vita, solo dopo 15 anni, calcolata sulla retribuzione media, con un tetto a 67 mila euro, ovvero la prestazione media, rateizzata, com un tasso di rivalutazione pari all’inflazione, pari a un numero di mensilità uguale per tutti ) rimarrebbe in default. Se aggiungessimo un finanziamento a carico degli editori anticipato da Inpgi o banche sarebbe lo stesso in default nel giro di cinque o sei anni.
A questo punto o cancelliamo il tutto, che significa nessuna prestazione, nemmeno per chi è in lista di attesa e nessun versamento futuro da parte dei datori di lavoro, o modifichiamo radicalmente il sistema. L’ipotesi che facciamo al momento è di trasformare per il futuro un versamento datoriale che beneficiava alcuni in un versamento destinato alle singole posizioni previdenziali, creando così un istituto di retribuzione differita valido per tutti, e contemporaneamente di liquidare il fondo attraverso una manovra che riconosca in modo graduale una prestazione a tutti coloro che hanno maturato un diritto esigibile e sono in lista di attesa, o un diritto atteso perchè hanno superato una certa anzianità aziendale o una parte di diritto ancora ipotetico ma quantificabile.
Parole, parole, parole, ma fino a quando non avremo realmente trovato un meccanismo corretto di gestione di questa transizione è difficile spiegarlo con esempi e cifre. In futuro però dovremo avere, tutti ma soprattutto i più giovani, un supplemento di trattamento pensionistico.
Cosa manca. Mancano chiaramente tre cose non da poco: compensi certi per
i cococo, certezze sullo scambio occupazionale, certezza dell’equità della trasformazione delle prestazioni per l’ex fissa.
Deve essere chiaro che stiamo parlando di un contratto di lavoro, non della attuazione della legge sull’equo compenso o della panacea miracolistica che risolve i problemi di un settore industriale o della soluzione magica che garantisce a tutti i giornalisti italiani una fissa pari a quelle di certi direttori, una decina di volte superiori alla media.
Ma è questo il tempo in cui ci è dato vivere e negoziare.
Guido Besana, 22 aprile 2014.