La sindrome della miss picchiata e il demone del Dottor Frankenstein

200-serenaEdizioni che chiudono e lasciano le redazioni orfane del prodotto. Editori che fanno accordi per ottenere prepensionamenti e poi non li rispettano. Editori che licenziano per motivi economici – quindi per far quadrare i conti – i giornalisti che costano di meno anziché quelli che costano di più, con il risultato di far perdere due/tre posti di lavoro al posto di uno. Editori che licenziano e poi vorrebbero ricontrattualizzare gli ex dipendenti con contratti a progetto. Editori che licenziano senza neppure pensare di richiedere gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro. Editori che licenziano e giornalisti che non intendono neppure impugnare il licenziamento «perché tanto…». Redazioni in cui è in atto un processo di «cinesizzazione» per cui il diktat è di non alzare la testa, non ribellarsi, dire sempre sì e dimenticarsi di avere anche dei diritti. Una volta si diceva: «Sempre meglio che lavorare». Ora la prospettiva sembra essersi rovesciata e molti sono pronti a tutto, anche a calpestare la propria dignità, perché è «sempre meglio che non lavorare».

Questo, in sintesi, è quanto è accaduto negli ultimi mesi nella nostra regione. Ne avete trovato notizia anche su questo sito. Questi sono i fatti. E questi fatti richiedono una riflessione politica. L’impressione, assai sgradevole, è che le aziende abbiano deciso di perseguire i propri obiettivi senza più sentire il bisogno, o l’obbligo, della contrattazione sindacale nel tentativo di raggiungere un accordo. Spesso nelle trattative non esiste più il cosiddetto punto di caduta, c’è la caduta e basta.

Caso Unità: una trattativa – sia pure frammentata e non supportata da una completa documentazione – c’è stata, ma poi l’azienda ha deciso di procedere unilateralmente con la chiusura delle edizioni dell’Emilia-Romagna e della Toscana senza alcun accordo con il sindacato, dal cdr alle Associazioni regionali di stampa alla Fnsi. I primi a pagare sono stati i collaboratori, alcuni dei quali «storici» e ricchi soltanto di una collezione di contratti a termine. Tutti loro, in attesa degli annunciati progetti autunnali (nei quali, peraltro, non sembrano essere affatto contemplati), sono a spasso. E, per di più, attendono mesi e mesi di pagamenti arretrati. A margine, la solita fuffa che le aziende tentano di propinarci come l’offa per il cane Cerbero: la redazione integrata, il desk unico, la crossmedialità, ecc. ecc.

Alla Conti Editore, azienda ormai decimata sotto il profilo giornalistico, gli accordi sottoscritti con l’azienda per consentire pari trattamento economico tra i colleghi in solidarietà e quelli avviati al prepensionamento sono stati nei fatti disattesi dall’azienda senza alcuna comunicazione agli organismi sindacali.

Al Giornale di Reggio Emilia siamo addirittura a comportamenti da basso impero, da parte del «sovrano» ma anche da parte della «corte». Mentre l’editore dà il benservito ai giornalisti (cinque) perché, in sostanza, non sono più funzionali al suo progetto e non si preoccupa nemmeno di percorrere una strada che consenta di accedere agli ammortizzatori sociali, quasi tutti i giornalisti accettano ciò passivamente come fosse l’undicesima piaga d’Egitto, senza neppure rivolgersi al sindacato. Qualcuno, forse, è addirittura propenso a lavorare ancora per la stessa azienda senza contratto e a costi molto inferiori. Purtroppo è sindrome comune, che meriterebbe di essere studiata dai professionisti in psichiatria, non dai sindacalisti. E’ quella che potremmo definire «la sindrome della miss picchiata»: come quella reginetta di bellezza massacrata di botte dal compagno che, uscita dall’ospedale, ha deciso di perdonarlo e tornare da lui (quando uscirà dal carcere). Con grande professionalità la sua avvocata, di fronte a questo comportamento, ha deciso di rimettere il mandato: non si può difendere, e neppure proteggere, chi sceglie di tornare tra le braccia del proprio aguzzino. Di fronte a certi atteggiamenti anche al sindacalista verrebbe voglia di rimettere il mandato.

In questo quadro, che sembra dipinto da Hyeronimous Bosch, sono comprese anche le televisioni. L’onda lunga della crisi, che ha attraversato il 2012 spazzando via nella nostra regione parecchie testate e circa 120 posti di lavoro nel settore cartaceo, sta travolgendo adesso anche le tivù. Ma la crisi, talora, è poco più che un pretesto per permettere agli editori di rivendicare appieno il titolo di padroni del vapore. Letteralmente, senza virgolette. E fa sì che si sentano legittimati a intraprendere qualunque azione bypassando il sindacato.

Prendiamo il caso Teleducato. L’editore, dopo aver smantellato la redazione di Piacenza lasciando soltanto la direttrice a dirigere se stessa, ora sta tentando di fare la stessa cosa a Parma. Ma mentre a Piacenza l’operazione gli è riuscita, convincendo i giornalisti ad andarsene con una magra buonuscita, a Parma il compito si è rivelato più arduo. La prima mossa dell’editore, infatti, è fallita. Voleva convincere i giornalisti, tramite accordo da firmare addirittura davanti all’Ufficio del Lavoro, a ridursi lo stipendio (già ai minimi termini, visto che si tratta di contratti Aeranti-Corallo). Sì, avete letto bene: il lavoratore firma un accordo per ridursi lo stipendio, il proprio principale diritto!
Tre giornaliste hanno detto no. E per loro (tra cui la fiduciaria di redazione) è partita immediatamente la lettera di licenziamento. «Per motivi economici», secondo la legge Fornero. Salvo poi ventilare alle colleghe la proposta di continuare a lavorare con un co. co. pro. (sic!). Tra l’altro, se si tratta di motivi economici, non si capisce perché disfarsi dei giornalisti che costano meno e non di quelli che costano di più. Che cosa accadrà ora? Le colleghe impugneranno il licenziamento? Tratteranno direttamente con l’editore come hanno fatto i colleghi piacentini che, a un certo punto della trattativa, non hanno più informato il sindacato e sono andati per la loro strada con il supporto – incredibile dictu – dell’avvocato che è già legale della principale testata concorrente? Non lo so.

Certo il sindacato continuerà a vigilare per impedire che i comportamenti da filibustieri diventino sistema. Si dice: però è anche colpa dei colleghi, che accettano l’inaccettabile perché così va il mondo per le generazioni venute dopo la (mancata) rivoluzione. Vero. Ma ormai è una gara a chi scende più in basso se c’è chi, invece di essere un giornalista, si adatta a fare lo spin doctor degli aspiranti tagliateste, e se ne vanta pure. Piuttosto che rimanere al soldo di editori ignoranti e presuntuosi, che credono si possano fare i giornali e i telegiornali e i siti di all news senza i giornalisti, è meglio darsi all’agricoltura. Se non altro, si sa, la terra è bassa e più giù di lì non si scende.

E lasciamo questi piccoli Dottor Frankenstein dell’editoria cullarsi nel loro delirio di onnipotenza: i giornali si faranno senza giornalisti quando si riuscirà a dare vita a un uomo creato mettendo insieme pezzi di cadavere. Se la letteratura insegna qualcosa, si sa già come va a finire: la creatura non è come il creatore l’aveva immaginata, ma un mostro distruttivo e, per di più, muto. Perciò, allo spregiudicato Dottor Frankenstein non resta che una scelta: augurarsi che muoia o sopprimere lui stesso il frutto della propria folle ambizione.

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