L’Unità, vittoria dei giornalisti in tribunale
Una sentenza della Corte d’appello di Roma (sezione lavoro, giudice relatore Enrico) ha dato ragione ad alcuni giornalisti dell’Unità, giornale controllato dal Partito democratico e dichiarato fallito il 27 luglio del 2022, condannando l’Unità s.r.l. in fallimento a risarcire due di loro con 2mila euro netti mensili, oltre alla tredicesima mensilità, dal 19 giugno 2015 alla data del fallimento.
I giornalisti sono stati assistiti dagli avvocati Bruno Laudi, Pierluigi D’Antonio e Gaia Fabrizia Righi. I giornalisti lamentavano di non essere stati mantenuti in servizio durante il passaggio dalla Nie a Unità srl, la nuova società che portò in edicola il quotidiano nel 2015 con direttore Vladimiro Ilic Frulletti, poi sostituito da Erasmo De Angelis. La sentenza dà ragione ai giornalisti (che erano in Cigs dal luglio 2014) sostenendo che per la selezione del personale che sarebbe dovuto transitare dalla Nie alla nuova società non sarebbero stati seguiti alcuni criteri provocando così la nullità della selezione stessa. In particolare il piano editoriale, che avrebbe dovuto essere alla base appunto della scelta, non sarebbe stato comunicato con le modalità previste dall’articolo 6 del contratto di lavoro giornalistico Fnsi-Fieg (in pratica in una assemblea coi redattori); inoltre non sarebbero stati tenuti in considerazione anzianità di servizio e carichi familiari. <Funzionalità con il piano editoriale presentato dal direttore e professionalità non risultato, dunque, oggettivamente verificate>, scrive il giudice. Di conseguenza, si legge sempre nella sentenza, tutto questo ha provocato dei danni ai giornalisti non scelti.
“Questa sentenza – spiega l’Aser – ribadisce un principio sindacale importante e cioè che la mancanza di un piano editoriale, che non è mai stato presentato come prevede il contratto di lavoro, ha violato gli accordi sindacali nell’applicazione dei criteri che avrebbero dovuto garantire l’oggettività della selezione, selezione che invece è avvenuta da parte dell’editore senza tenere conto dei diritti acquisiti dei lavoratori”.