“Maschilismo dilagante, partita del cuore è solo l’ultimo esempio”. L’intervento di Maria Chiara Duranti
Carissimo direttore,
le scrivo per commentare nuovamente il caso Partita del Cuore-Aurora Leone, ennesimo esempio di maschilismo dilagante, che purtroppo coinvolge anche la nostra realtà locale. E che probabilmente sarà seguito da altri nel tempo che passerà tra l’invio di questa lettera e la sua pubblicazione.
Un altro caso di discriminazione nei confronti di una donna: “Tu non puoi stare qui!” a una persona invitata a partecipare. Un caso che non è solo offensivo, ma rappresenta la punta dell’iceberg di una situazione di disagio che noi donne subiamo sul posto di lavoro e all’interno di una comunità. Non importa che siamo o non siamo madri, lavoratrici, studentesse o altro: è una questione che coinvolge tutte. Con gradazioni diverse, forse, ma ci tocca tutte.
Ed è una discriminazione che diventa troppo spesso una questione economica, perché sono quasi sempre le donne, quelle che non hanno equa opportunità sul lavoro, equi compensi o giuste mansioni all’interno della gerarchia dirigenziale a pagare le conseguenze di questo. Le prime a dover rinunciare, a “sacrificarsi”. Mi chiedo come possa essere efficiente o virtuosa un’azienda che lo permetta. Quante sono le donne lavoratrici in posizioni di prestigio, in ruoli dirigenziali? Quante donne sono direttrici di un’azienda, di un reparto, di un team? E quando lo sono, perché vengono considerate un oggetto raro, da esporre in un museo, invece di un esempio virtuoso da seguire? E non soltanto perché sono donne, ma perché – al pari di quella di altri colleghi – la loro leadership funziona?
Abbiamo mai sollecitato un’indagine a livello locale sulle nostre aziende e le nostre care cooperative? Quelle che da anni ci ripetono che siamo importanti, che siamo un valore aggiunto, che il nostro ruolo di madre non può essere barattato con la carriera? Perché oggi ancora troppe volte è così. Con la contraddizione che, se non sei madre, verrai comunque considerata un “potenziale pericolo”, perché prima o poi quel figlio lo vorrai. Non hai figli? Tranquilla, lo stigma arriverà comunque, perché ti sottrai (volontariamente o involontariamente, poco importa) a quello che sembra ancora oggi l’unico ruolo riconosciuto per noi.
Oggi, dopo un anno di pandemia, ci ritroviamo ancora più confuse e disperate di prima, con i figli da organizzare perché l’estate si avvicina e la scuola termina ai primi di giugno, con la necessità impellente di un orario flessibile per lavorare anche da casa (come contemplato dalle nuove norme) e invece continuiamo a sbattere contro l’ottusità di certi dirigenti, proprio gli stessi che si professano campioni di flessibilità, tolleranza e rispetto.
Partiamo dal nostro territorio: perché non indire un’indagine sul lavoro professionale femminile in Romagna? Perché non capiamo con numeri, fatti e ricerche quante siano effettivamente le donne lavoratrici, quali ruoli, quali mansioni, quali posizioni nelle gerarchie aziendali ricoprono? Non vedo, personalmente, qui in Romagna, pari opportunità. Certo, la situazione è migliore rispetto a tante altre realtà, ma questo non significa che sia risolta. Che dobbiamo stare zitte perché “altre stanno peggio”. Anzi.
Nella mia vita professionale ho pagato anche io il fatto di essere una lavoratrice. (E l’aggravante di essere madre) Troppe volte. E ora che ho raggiunto una professionalità riconosciuta a livello nazionale e internazionale come giornalista professionista, insegnante al Master Fare TV dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, speaker in convegni e festival internazionali della Televisione, multilingue e con un bagaglio di esperienza nelle principali televisioni italiane e straniere, posso finalmente scrivere a chiare lettere che l’eguaglianza non c’è mai stata. La parità sul lavoro “non è pervenuta”, soprattutto qui in Romagna, nelle nostre aziende, nella nostra realtà locale. Non voglio tediarla con le mie vicende personali, ma le posso assicurare che il mio compenso non è mai stato uguale a quello di un collega. Non ho mai potuto negoziare un contratto migliore, non ho mai potuto pretendere il giusto compenso, perché semplicemente avrei perso il lavoro. E’ il momento di dire BASTA! Dobbiamo avere il coraggio di gridarlo a tutti.
La vera emancipazione femminile nasce solo e sempre da un fatto puramente economico! Se noi donne non cominciamo a essere trattate equamente, se non percepiamo gli stessi stipendi dei nostri colleghi, non ci sarà mai uguaglianza e parità. Ed è una questione che riguarda anche gli uomini, mi creda: perché sarà tua moglie, tua madre, tua figlia o la tua fidanzata a non aver abbastanza soldi per assicurarvi una vita migliore.
Non basta una panchina rossa posta a legittimare l’impegno verso l’universo femminile. Ci vuole coraggio. Bisogna cominciare a pagare equamente le donne! Bisogna garantire orari flessibili, bisogna venire incontro alle esigenze familiari delle lavoratrici, perché la parità passa dalle conquiste economiche e dagli orari di lavoro che accolgono il grido delle donne, quelle che hanno subito maggiormente le conseguenze della pandemia e che sono provate. Sono, anzi siamo stanche, e rivendichiamo gli stessi diritti degli uomini. Semplicemente perché non c’è nessuna ragione concreta per non averli. E soprattutto vogliamo essere davvero ascoltate.
Maria Chiara Duranti
(Donna, mamma, giornalista professionista)