“Quando i giudici non difendono chi fa informazione”, l’intervento del presidente Aser, Matteo Naccari, sulla vicenda giudiziaria dopo l’aggressione di Ines Corradi, operatrice di Telereggio
Si è finalmente conclusa una vicenda giudiziaria che dimostra che a volte i giudici non difendono chi fa informazione. Si è conclusa positivamente, ma quante contraddizioni. Come Aser riteniamo sia importante darne notizia perché, anche se non riguarda un giornalista, coinvolge un’operatrice che affianca i giornalisti durante il loro lavoro in una televisione del territorio, Telereggio. I fatti. Il 19 ottobre 2014, a Tincana di Carpineti, l’operatrice di Telereggio Ines Conradi fu aggredita da due persone mentre realizzava riprese sul luogo di un incidente stradale. Ne è seguita una lunga vicenda giudiziaria.
La prima sentenza è stata emessa dalla Quarta sezione penale della Corte d’Appello di Bologna (relatore il giudice Mirko Margiocco). Riformando la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello ha condannato gli aggressori di Ines – Carlo Emore Severi e la figlia Elisabetta – in sede civile, ma li ha assolti sul piano penale. In pratica di un episodio interamente registrato in audio e video, la corte individua come elemento cruciale l’unica cosa che nel video non si vede: lo schiaffo con cui Ines avrebbe colpito Elisabetta Severi. Per impedirle di fare il suo lavoro, padre e figlia minacciavano di morte Ines coltello alla mano e le mettevano le mani addosso. Ma per il giudice la reazione di Ines alle botte è “sproporzionata”, per cui “la condotta di Elisabetta Severi e del padre può essere collocata nella legittima difesa contro l’aggressione sproporzionata della Conradi”. E le ferite a Ines con il coltello? Qualcosa di “meramente difensivo”, scrive la Corte d’Appello di Bologna. E poi “l’uso dell’arma è stato non invasivo”: non le è stata tagliata la gola, ad esempio, né aperta la pancia. Insomma, di che si lamenta?
Ricapitoliamo: due persone, di cui una armata di coltello, con a poca distanza una mezza dozzina di amici e parenti, si trovano di fronte una ragazza sola, che è lì per fare il suo lavoro e che per tutto il tempo della colluttazione tiene in spalla la telecamera. Bene, per i giudici di Bologna la minaccia è Ines.
Una minaccia da cui “difendersi” con calci, pugni e coltello alla mano. Ma quindi Ines cosa avrebbe dovuto fare? Secondo i giudici di Bologna aveva varie opzioni: ad esempio, scrivono, “avrebbe anche potuto allontanarsi”.
Per fortuna c’è una seconda sentenza, quella con cui il Tribunale di Reggio ha assolto Ines dall’accusa di avere dato uno schiaffo, quel giorno, a Elisabetta Severi. Una sentenza nella quale il giudice Cristina Beretti, presidente del tribunale, scrive che “di tale schiaffo non vi è prova nel video”, che la Severi è una testimone di “scarsissima attendibilità” e che sono stati i Severi ad aggredire Ines e non il contrario.
Per fortuna quindi un giudice in Emilia-Romagna ha riportato la giustizia sui corretti binari, affermando il principio che chi fa informazione nel rispetto delle regole va difeso. Perché, purtroppo, gli attacchi e le minacce ai giornalisti sono sempre più diffusi e comuni. Certo, come sindacato interveniamo, difendiamo i colleghi, ma serve che anche la giustizia faccia la sua parte. E qui nella sentenza della Corte d’Appello di Bologna non l’ha fatto, anche se contestualmente il Tribunale di Reggio ha ristabilito la verità dei fatti. Resta il fatto che chi è stato aggredito con un coltello mentre faceva il proprio lavoro si è ritrovato per otto anni invischiato in un’assurda vicenda giudiziaria, dove da parte lesa è passata per colpevole.
Matteo Naccari
presidente Aser