Ex fissa, la crisi annunciata e le soluzioni possibili. A gennaio la rata 2017
La rata dell’indennità ex fissa sarà erogata entro il 31 gennaio 2018. Le modalità saranno comunicate nei prossimi giorni con lettera raccomandata ai 1.948 giornalisti interessati. Il fondo è incapiente, tanto che nel 2014 se ne è resa necessaria la messa in liquidazione. La crisi di liquidità, inizialmente tamponata con un finanziamento di 12 milioni da parte dell’Inpgi al tasso del 4.60 per cento, si è riproposta in tutta la sua drammaticità quando il ministero del Lavoro ha impedito allo stesso Inpgi di erogare la seconda tranche del finanziamento di complessivi 35 milioni previsto dall’accordo contrattuale del 2014.
A questo punto, Fnsi e Fieg potevano rinviare di un anno il pagamento delle rate (ipotesi gradita agli editori) o studiare altre soluzioni. La strada scelta, illustrata nella lettera agli interessati, prevede, fermo restando il credito maturato da ciascun giornalista, la possibilità – che recepisce le richieste di numerosi colleghi – di aderire ad un’opzione su base esclusivamente volontaria. L’opzione consiste nel richiedere la liquidazione del 50 per cento, del 55 per cento o del 60 per cento della somma maturata, rispettivamente in una, tre o cinque rate annuali. Raccolte le eventuali adesioni (entro il 31 dicembre prossimo), a gennaio si metteranno a punto i pagamenti.
Ad oggi le aziende Fieg hanno fatto fronte a tutti gli adempimenti previsti dal contratto, versando al Fondo le somme dovute.
La crisi del Fondo è strutturale e risale alla sua costituzione. Per questa ragione, è bene ripercorrere le tappe fondamentali della vicenda.
La fissa era un istituto del contratto nazionale di lavoro giornalistico introdotto nel 1919 e rimasto in vigore fino al 1981: le prestazioni erano a carico della singola azienda.
L’indennità fissa fu abolita con il contratto in vigore dal 1° gennaio 1982 e sostituita con l’indennità di mancato preavviso in caso di risoluzione del rapporto di lavoro da parte dell’azienda. In quello stesso contratto si confermò, comunque, che l’indennità fissa continuava ad essere erogata dalle rispettive aziende nei casi di dimissioni del giornalista con 55 anni di età e 10 anni di anzianità aziendale, ovvero con una anzianità aziendale superiore a 15 anni, a prescindere dall’età anagrafica. Sempre con quel contratto le parti si impegnavano a concordare una diversa successiva disciplina contrattuale per salvaguardare il beneficio economico della “fissa” senza oneri aggiuntivi per le aziende.
Con il contratto sottoscritto da Fieg e Fnsi il 15 luglio 1985 fu raggiunto un “accordo per prestazioni previdenziali integrative”, che prevedeva la costituzione di una gestione speciale presso l’Inpgi, a seguito di una convenzione stipulata tra Fieg, Fnsi e lo stesso Inpgi, in base alla quale, a decorrere dal 1° dicembre 1985, i giornalisti avrebbero avuto diritto a percepire al momento del pensionamento una “prestazione previdenziale integrativa” dalla gestione speciale Inpgi, in sostituzione della ex indennità fissa, che percepivano in precedenza dall’azienda al momento della risoluzione del rapporto. La nuova prestazione previdenziale integrativa poteva concretizzarsi, in base all’opzione del giornalista, nella liquidazione del capitale o nella liquidazione in rendita del capitale maturato. L’importo era compreso fra le 7 e le 13 mensilità, calcolate sull’ultima retribuzione comprensiva dei ratei di tredicesima e indennità redazionale.
I casi previsti per ottenere la prestazione erano i seguenti:
dimissioni dopo almeno 15 anni di servizio presso la stessa azienda;
dimissioni dopo almeno 10 anni di servizio presso la stessa azienda avendo superato il 55° anno di età;
dimissioni dopo almeno 3 anni di servizio presso la stessa azienda avendo superato il 60° anno di età.
A questi casi fu aggiunto anche quello di risoluzione del rapporto di lavoro per decesso (che sostituiva l’indennità di mancato preavviso a carico dell’azienda, come previsto dalla legge) nonché il caso di risoluzione del rapporto di lavoro per limiti di età (anche in questo caso in sostituzione dell’indennità di mancato preavviso a carico dell’azienda per legge).
Per il finanziamento della gestione speciale si introdusse un contributo a carico delle aziende editoriali nella misura dell’1% delle retribuzioni corrisposte ai giornalisti dipendenti a tempo indeterminato. Questa aliquota fu successivamente elevata, a decorrere dal 1° gennaio 1987, all’1,50% per garantire la sostenibilità della gestione.
Il Fondo nacque strutturalmente deficitario. Infatti, nel corso degli anni sono stati numerosi gli interventi con i quali si è cercato di assicurarne la sostenibilità, rivelatisi tutti insufficienti.
Già il 25 luglio 1986 (appena un anno dopo l’entrata in vigore dell’ex fissa), fu previsto, a carico delle aziende, un contributo una tantum aggiuntivo pari a 200mila lire per ogni giornalista dipendente.
Il 1° luglio 1987 fu previsto un successivo contributo una tantum a carico delle aziende di 230mila lire, sempre per ciascun giornalista dipendente.
Il 22 dicembre 1993 fu previsto un ulteriore contributo una tantum di lire 453mila lire alle stesse precedenti condizioni.
Con accordo del 24 novembre 2010, a fronte dell’aggravamento della gestione del Fondo ex fissa e preso atto della disponibilità dell’Inpgi, le parti concordarono un’anticipazione al fondo da parte dell’Inpgi di 37 milioni di euro in due tranche. L’anticipazione sarebbe stata coperta con un’aliquota addizionale a carico delle aziende pari allo 0,35 per cento, in aggiunta all’aliquota dell’1,50 per cento.
Il resto è storia recente.
Nato strutturalmente deficitario (l’aliquota di contribuzione è largamente insufficiente a garantire le prestazioni), il Fondo ex fissa è diventato una voragine perché ha assicurato prestazioni non sostenute dalle contribuzioni. Il meccanismo è tale, infatti, che fin dal primo giorno c’era la certezza del default e che qualcuno, prima o poi, doveva farsene carico. Come nelle migliori tradizioni italiane, si è sempre preferito non affrontare il problema strutturale e rimandare la soluzione al momento in cui il fondo sarebbe letteralmente esploso.
Perché il fondo è sempre stato strutturalmente in default? Per comprenderne le ragioni, non servono nozioni di matematica finanziaria, basta conoscere le quattro operazioni. Per esempio, l’assegno è stato calcolato sempre sull’ultima mensilità. Aumenti di stipendio o promozioni ottenute negli ultimi anni della vita lavorativa (ci sono stati tempi in cui abbondavano), determinavano l’ammontare dell’indennità. Alcuni giornalisti sono riusciti a percepire l’ex fissa fino a 3 volte. Tutto legittimo, perché previsto dal contratto, ma economicamente insostenibile perché a pagare non era l’azienda di cui il giornalista era dipendente, ma il Fondo comune.
Le uscite massicce dal mondo del lavoro degli ultimi anni, incentivate dagli editori, hanno aggravato ulteriormente la situazione fino al dissesto.
Per dare un’idea di come funzionava (o non funzionava) il Fondo, si riportano alcuni importi liquidati in un’unica soluzione nel periodo 2005-2015. Nella prima colonna è riportato l’importo liquidato al beneficiario in un’unica soluzione, nella seconda i contributi al fondo calcolati sulla base dell’1,50 per cento delle retribuzioni percepite nel corso della carriera, nella terza colonna l’incremento percentuale della somma percepita rispetto a quella effettivamente versata.
Importo lordo liquidato Contr. 1,50% % incremento
€ 903.236,00 185.000 488%
€ 874.878,00 176.000 497%
€ 786.588,00 140.000 560%
€ 686.740,00 100.876 680%
€ 652.751,00 34.887 1871%
€ 577.217,00 80.937 713%
€ 474.203,00 65.472 724%
€ 425.084,00 67.517 630%
€ 372.191,00 49.840 747%
€ 369.522,00 68.055 543%
€ 368.153,00 57.236 643%
€ 367.164,00 51.033 719%
€ 340.544,00 65.116 523%
€ 336.924,00 61.993 543%
€ 519.878,00 98.086 530%
€ 94.137,00 20.018 470%
€ 399.660,00 33.455 1194%
Si tratta soltanto di pochissimi esempi che però rendono bene l’idea dell’insostenibilità del fondo. Anche guardando agli importi più bassi, qui non riportati, il rapporto fra versamenti e prestazioni è fuori dalla norma: l’incremento va dal 100 al 350 per cento.
Va poi aggiunto che fra gli importi in corso di rateazione ce ne sono alcuni di particolare consistenza. Su tutti, uno da 1.436.528,00 euro e un altro da 1.424.240,00 euro.
I debiti fanno capo al Fondo che deve essere alimentato dalle aziende Fieg e devono essere pagati. Una considerazione (amara) però si impone: queste prestazioni, maturate a prescindere dal montante contributivo, non hanno niente a che vedere con la previdenza integrativa. Era risaputo dall’inizio, ma si è preferito far finta di niente, prendere fino a quando possibile, lasciando ai posteri l’onere del default. Qualcuno è a conoscenza, in un qualche angolo del mondo, di un fondo integrativo previdenziale che assicura rendimenti come quelli sopra indicati?